La cartuja.Vida contemplativa

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LA GIOIA DI ESSERE CERTOSINO

 

Introduzione

Qualche anno fa, il film “Il grande silenzio” ebbe un forte impatto sul pubblico. Svelava un poco la vita dei certosini, ma in modo limitato dal momento che il suo “mutismo” lasciava negli spettatori molte domande senza risposta. Chi sono questi monaci vestiti con strani abiti bianchi? Che cosa significa la loro vita ritirata e silenziosa, talmente differente dalla vita dei preti e di quei religiosi che si consacrano nel mondo alla pastorale, all’insegnamento, alle missioni?

I certosini difendono ostinatamente il loro silenzio ed il loro allontanamento dal mondo per poter vivere il loro carisma proprio e specifico. Per questo fuggono la pubblicità e non concedono che raramente interviste ai media. Non deve dunque stupirci che siano poco conosciuti.

Nonostante tutto, la vita solitaria dei certosini ha sempre attirato uomini assetati d’infinito, desiderosi di vivere nascosti agli occhi del mondo, consacrando totalmente la loro vita a Dio, nel silenzio e nella solitudine di un eremo. Santi del calibro di Ignazio di Loyola, di Giovanni della Croce, e altri ancora, hanno desiderato entrare in Certosa. E la Certosa continua a risvegliare interesse presso non pochi credenti che si sentono attirati da una vita di fede semplice, centrata sull’essenziale, sulle cose fondamentali.

È riportata qui di seguito l’intervista che il padre gesuita Rosendo Roig fece qualche anno fa ai certosini di Miraflores (Burgos, Spagna). Il quadro è stato completato con alcune delle domande che gli aspiranti alla vita certosina sono soliti porre nelle loro lettere o durante i ritiri per il discernimento vocazionale. Si spera che questi dialoghi estremamente semplici serviranno di orientamento ai giovani desiderosi di avvicinare il carisma e la vita quotidiana dei certosini.

1. LA VOCAZIONE

- Quando un giovane desidera entrare in Certosa…

- Scrive.

- A chi?

- Di preferenza al padre priore.

- Che cosa gli risponde?

- Il padre maestro dei novizi gli invia una lettera, nella quale include gli opuscoli che servono sia a dare un’idea generale delle osservanze certosine sia a rispondere a tutte le domande riguardanti la nostra vocazione. Oggi la maggior parte degli aspiranti alla nostra vita si serve della posta elettronica.

- E cosa succede?

- Se l’aspirante risponde e persiste nel suo desiderio, ci informiamo presso un sacerdote che lo conosce. Se la presentazione è favorevole, lo invitiamo a passare qualche giorno in Certosa.

- E come vivrà questo ritiro?

- L’aspirante occupa una cella del chiostro e segue gli orari della comunità.

- Questa condivisione di vita fornisce le luci necessarie al discernimento?

- Dopo alcuni giorni l’aspirante ha già potuto farsi un’idea almeno approssimativa della vita che desidera abbracciare.

- Chi si occupa dell’aspirante durante questo soggiorno?

- Il maestro dei novizi lo visita frequentemente, e l’aspirante si intrattiene con lui, in un clima amichevole, parlando della nostra vocazione e di tutto ciò che le concerne.

- In cosa consiste la finalità precisa di questo dialogo?

- Serve ad approfondire la spiritualità certosina per aiutare l’aspirante a discernere la sua vocazione.

- Quali motivazioni non sarebbero valide per diventare certosino?

- I fallimenti della vita… Il desiderio di un’esistenza tranquilla, senza problemi… Più in generale ogni sorta di motivazioni egoistiche. Di fatto la sola motivazione valida è la ricerca dei valori eterni, un desiderio forte, più o meno chiaramente cosciente, di vivere per Dio: che questa aspirazione sia presente almeno come semplice intuizione. Ci sforziamo di analizzare la vocazione con il massimo di discrezione e pazienza.

- Praticamente a quale età si è ammessi un Certosa?

- La tendenza che si sta affermando sempre più è di sconsigliare l’ingresso prima di ventun’anni.

- A partire da ventun’anni… fino a che età?

- Senza permesso speciale del Capitolo Generale o del Reverendo Padre (si chiama così il Superiore Generale dell’Ordine), non possiamo accogliere nessuno con più di quarantacinque anni.

- E il permesso viene accordato?

- Se l’età non è troppo oltre il termine dei quarantacinque anni, il permesso può essere accordato. È necessario, però, fare precedentemente una prova speciale di tre o quattro mesi prima di essere ammessi come aspiranti.

- Perché questa prova?

- Perché a quest’età adeguarsi alle osservanze della Certosa è più difficile: occorre vedere con chiarezza se il candidato è veramente capace di adattarsi prima di essere ammesso.

- Riguardo alla salute, cosa domanda la Certosa?

- Prima di ammettere i candidati, gli Statuti del nostro Ordine consigliano di «consultare dei medici esperti che conoscano bene il nostro genere di vita» (St. 8.2; 17.2). Piccole inconsistenze psichiche, che altrove passerebbero quasi inosservate, trovano nella solitudine della Certosa una cassa di risonanza che impedirebbe di condurre da noi una vita normale. Oggi le visite mediche sono obbligatorie prima dell’ingresso in noviziato e prima della professione.

- Riguardo al temperamento che cosa si chiede?

- La vocazione alla solitudine della Certosa esige una volontà determinata e un carattere equilibrato.

- Allora… le persone tranquille sono più avvantaggiate rispetto a chi possiede un temperamento nervoso?

- Non sempre. Anche le persone “nervose” possono ugualmente ben adattarsi alla Certosa.

- Alla fine, qual è, dunque, la qualità principale per entrare in monastero?

- Poiché la vita certosina è tutta impregnata di preghiera, difficilmente può essere ammesso qualcuno che non si sente attirato al raccoglimento e all’orazione. Nella vita contemplativa, nessuna qualità, per quanto eccellete, può prevalere sullo spirito di preghiera.

- Qual è la missione particolare del maestro dei novizi?

- Occuparsi della formazione dei candidati, aiutarli nelle loro difficoltà e nelle tentazioni che minacciano abitualmente coloro che seguono Cristo nel deserto.

- In Certosa si segue un metodo speciale di orazione?

- Normalmente il novizio comincia il suo apprendistato nelle vie dell’orazione attraverso la lectio divina. Questo metodo di orazione è tradizionale nei monasteri. Consiste nel leggere con calma un brano o un semplice versetto della Sacra Scrittura e nel “ruminarlo”. Poi, nel silenzio, lasciamo affiorare sentimenti di lode, di ringraziamento, di pentimento secondo quanto il testo ha suscitato nel nostro cuore: ciò diventa la nostra preghiera davanti al Signore. Quando questo testo non suscita in noi nessuna risonanza, oppure quando intervengono delle distrazioni, leggiamo un altro breve passo della Sacra Scrittura che lasciamo di nuovo penetrare nel cuore. Questo metodo di orazione molto semplice riduce notevolmente le distrazioni. Tutto il clima della Certosa dispone il monaco a lasciarsi penetrare dalla preghiera.

- Accordate una grande importanza a questa formazione alla vita di preghiera?

- Non può essere altrimenti. È importante poi che la preghiera del novizio arrivi a semplificarsi, che si converta in un semplice sguardo amoroso verso il Signore. È bene che il novizio giunga a gustare la preghiera contemplativa fini ai primi gradi, all’“orazione di semplice sguardo”, chiamata anche “orazione di quiete”. Il maestro dei novizi, con molta prudenza, deve educare alla contemplazione, cosciente del fatto che essa costituisce il fine della vita di preghiera.

- Non è un’esigenza eccessiva per un semplice novizio?

- Normalmente se un novizio, per grazia, conosce l’esperienza contemplativa, per quanto semplice e breve possa essere, sarà pronto a superare i momenti di scoraggiamento e di aridità spirituale, e le crisi che in genere non mancano durante il periodo di noviziato. Per far morire l’“uomo vecchio” che si nasconde nell’intimo di ciascuno, è molto utile vivere abitualmente alla presenza del Signore: ciò permette l’incontro continuo e orante con la Parola di Dio nell’Ufficio divino, nella recitazione delle Ore, o nella lectio divina. Il giovane monaco si libera poco a poco della tirannia delle passioni del mondo sensibile da cui si è distaccato entrando in Certosa ma che lo perseguita nascondendosi ancora nelle pieghe profonde del suo animo. In questo modo impara gradualmente a dominare la dipendenza dalle proprie emozioni, la superficialità e l’incostanza. Così tutto il suo essere, in modo quasi impercettibile, può avvicinarsi a Dio, nel raccoglimento, grazie al silenzio interiore che invade il suo spirito, e i sentimenti di adorazione, di gratitudine e di gioia gli diventano naturali. Se questo pilastro della preghiera contemplativa venisse a mancare, la vocazione sarebbe continuamente esposta allo scoraggiamento, all’andirivieni di impulsi passeggeri, alla fatica, all’aridità, alla mancanza d’interesse per le cose spirituali: tali sono le cause che maggiormente conducono all’abbandono della vita monastica.

 

2. LE TAPPE DEL PERCORSO COME MONACO DEL CHIOSTRO

A. Il periodo di postulato

- Supponiamo che un aspirante alla vita di monaco del chiostro abbia dato, in base al giudizio dei superiori della Certosa, dei segni di un’autentica vocazione. Che cosa fa?

- È ammesso come postulante.

- Che cosa è questo “periodo di postulato”?

- È il tempo di prova che prepara l’ingresso al noviziato.

- Quanto dura?

- Da sei mesi a un anno.

- Come si svolge la vita del postulante?

- È molto simile a quella dei monaci.

- Esattamente la stessa?

- Gli vengono accordate certe facilitazioni perché il suo adattamento alla nostra vita si faccia con gradualità.

- Come è vestito?

- Conserva gli abiti civili, ma nei momenti comunitari indossa una cappa nera.

- Il postulato comincia con una cerimonia speciale?

- Non ci sono cerimonie obbligatorie.

- Come il postulante occupa il suo tempo?

- Nei tempi liberi non consacrati alla preghiera comincia la sua formazione all0 spirito della Certosa, viene iniziato alle cerimonie liturgiche e studia il latino.

- Il latino?

- Sì, il latino.

- Occorre molto tempo per imparare il latino?

- N0rmalmente bastano alcuni mesi per acquisire i rudimenti sufficienti per comprendere i nostri libri liturgici.

B. Il Noviziato

- Supponiamo che durante i mesi passati come postulante il candidato si sia comportato in modo soddisfacente…

- Se la comunità lo ammette con voto favorevole, è ammesso al noviziato.

- Quanto dura il noviziato?

- Due anni.

- Cosa fa il novizio durante il primo anno?

- Viene formato alla vita spirituale, e continua lo studio della liturgia e delle osservanze certosine.

- E durante il secondo anno?

- Comincia gli studi in vista del sacerdozio: due anni e mezzo di filosofia e tre anni e mezzo di teologia.

- Dove compie questi studi?

- A causa delle esigenze della vocazione eremitica (solitaria) della Certosa, gli studi sono compiuti nel ritiro della cella.

- Ma… come?

- Due volte la settimana, gli studenti si recano nella cella di un padre anziano esperto nelle materie che devono essere affrontate. Col suo aiuto essi si rendono conto del lavoro da compiere e pongono le domande opportune. Insomma il professore certosino risolve tutte le difficoltà dello studente. Spesso si ricorre anche a dei professori esterni per fornire agli studenti una formazione teologica più solida.

- Come sono vestiti i novizi?

- Portano lo stesso abito dei professi, ma la “cocolla” (la parte del nostro abito che si mette sopra la veste) è corta e senza bande.

- Che cos’è una banda?

- Un pezzo di stoffa che unisce le due parti della cocolla. Inoltre, negli atti comuni, porta sopra l’abito bianco, una grande cappa nera.

 

C. La Professione temporanea

- Due anni sono passati. La comunità ha dato il suo voto favorevole. Che succede al novizio?

- Il novizio viene ammesso alla professione temporanea.

- Perché temporanea?

- Perché il novizio emetterà i suoi voti di stabilità, obbedienza e conversione dei costumi solo per tre anni.

- Quali sono gli effetti della professione temporanea?

- Il “giovane professo” è accolto definitivamente nel monastero dove ha emesso i voti. Gli anni di anzianità nell’Ordine si contano a partire da questa prima professione.

- Ma il noviziato è terminato?

- Il giovane professo continua ad essere membro del noviziato. Il padre maestro segue ancora la sua formazione umana e spirituale. E durante questi tre anni egli continua gli studi per il sacerdozio. Deve approfondire la formazione spirituale iniziata con il noviziato.

- Bene, altri tre anni sono passati…

- Il giovane professo rinnova i voti ancora per due anni, con la differenza, però, che adesso passa a vivere con i professi solenni. Può così sperimentare integralmente la vita che vuole abbracciare in via definitiva.

- Continua i suoi studi?

- Durante l’ultimo anno, quello di preparazione ai voti solenni, egli interrompe gli studi per consacrarsi più a fondo alla preghiera e alla solitudine della cella.

D. La Professione solenne

- Sono passati sette anni…

- Egli è arrivato finalmente al momento tanto desiderato della consacrazione definitiva.

- È un giorno importante per un certosino?

- È l’avvenimento principale nella vita di un certosino insieme alla consacrazione sacerdotale.

- Che cosa promette?

- Di vivere sempre, esclusivamente, per la lode di Dio. La professione solenne è il frutto di una lunga catena di grazie alle quali il professo ha corrisposto generosamente vivendo nella fedeltà agli impegni quotidiani.

- Che cosa accade dopo la professione solenne?

- Sotto certi aspetti, la professione solenne è piuttosto un inizio. Il certosino si è consacrato solennemente a Dio. Ora egli deve vivere giorno dopo giorno questa sua consacrazione. Il sacerdozio che gli sarà conferito alla fine degli studi coronerà la professione.

- Quali sentimenti abitano l’anima di un certosino il giorno della sua professione solenne?

- Io penso che siano gli stessi, espressi in modo appassionato, dal nostro padre san Bruno nella sua «Lettera ai fratelli di Certosa»: «Rallegratevi dunque, fratelli miei carissimi, del vostro felice destino e dell’abbondanza delle grazie che Dio vi ha prodigato. Rallegratevi di essere scampati ai flutti tempestosi del mondo, a tutti i loro pericoli e ai loro naufragi. Rallegratevi d’essere entrati in possesso della quiete e della sicurezza, di aver potuto gettare l’ancora nel porto più nascosto. Molti vorrebbero raggiungerlo; molti, anche, si sforzano di raggiungerlo senza riuscirvi; molti, infine, dopo averlo raggiunto, non vi sono ammessi perché a nessuno di loro il Cielo lo ha concesso.

Perciò, fratelli miei, siatene più che certi, chi ha goduto di tanta fortuna, e per una ragione o per un’altra viene a perderla, ne proverà una sofferenza continua» (2).

3. I FRATELLI CERTOSINI

- Ci sono sempre dei “Fratelli” in Certosa?

- Quando san Bruno si ritirò nel deserto di Certosa, due dei suoi compagni erano laici: Andrea e Guerrino. Questi furono i primi fratelli dell’Ordine.

- Ci sono ancora dei fratelli in Certosa?

- Con delle leggere variazioni durante i secoli il numero dei fratelli dell’Ordine Certosino si è mantenuto stabile. Attualmente ci sono sette o otto fratelli ogni dieci padri.

- I monaci del chiostro e i fratelli vivono in modo differente la stessa vocazione?

- Gli uni e gli altri condividono in forme complementari le responsabilità proprie di una famiglia di solitari.

- Si spieghi meglio…

- I monaci del chiostro vivono la maggior parte della giornata come degli eremiti nelle loro celle.

- E i fratelli?

- Pur condividendo con i padri la stessa vocazione solitaria, consacrano una parte del loro tempo al lavoro manuale, assumendosi gli incarichi materiali del monastero.

- Mi parli dei fratelli…

- I fratelli certosini dalle origini ai nostri giorni hanno conosciuto un’impressionante stabilità, raggiungendo un alto livello spirituale. In Certosa hanno un’identità definita con precisione.

- Ciò a cosa è dovuto?

- Alla vigilanza dei Capitoli Generali, alla vicinanza del Priore e del Procuratore (così è chiamato l’economo del monastero), ma soprattutto al clima spirituale di silenzio e alla solitudine che padri e fratelli vivono, anche se in modo differente.

- Come si prepara un certosino alla vita di fratello?

- Il percorso dei fratelli è simile a quello dei padri.

- Vediamolo…

- La durata del postulato è variabile e dipende in gran parte dalla formazione spirituale del candidato. Se gli atteggiamenti del postulante fanno intuire una vocazione sicura, la comunità vota per ammetterlo al noviziato dei “Conversi” (questo è un altro modo con cui vengono chiamati i fratelli in certosa). Questo noviziato dura due anni.

- Chi è il padre maestro dei fratelli certosini?

- Tradizionalmente era il padre Procuratore; attualmente è frequente che il maestro dei padri sia anche quello dei fratelli. Il padre maestro segue la loro formazione e li aiuta a superare le difficoltà che incontrano nel loro cammino.

- Terminato felicemente il noviziato, che cosa accade?

- Il fratello emette la prima professione temporanea, legandosi per tre anni. A partire da questo momento, il fratello è ufficialmente membro dell’Ordine. Al compimento di questi tre anni il converso di voti semplici rinnova il suo legame per altri due anni. Durante tutto questo tempo resta sotto la guida del padre maestro.

- A conti fatti, i fratelli certosini hanno sette anni di formazione…

- Sì, è così. Alla fine dei sette anni arriva il grande momento tanto desiderato: la consacrazione definitiva a Dio con i voti solenni. La cerimonia si svolge così: durante la Messa conventuale, il fratello legge la formula di professione, poi la depone sull’altare per manifestare il suo impegno totale nei confronti del Signore.

- I fratelli ricevono una formazione speciale?

- La loro formazione è adattata al loro stato, ed è solida. Per loro l’Ordine ha prescritto quello che oggi viene indicato con “formazione permanente”. Ciò significa che durante i primi sette anni di vita certosina, sotto la direzione del padre maestro, tutti i giorni dedicano una parte del loro tempo alla formazione biblica, teologica e liturgica, come anche a quella spirituale… Questa formazione viene adattata a ciascun fratello che la potrà continuare per tutta la vita dopo la fine del noviziato.

- Che cosa leggono i fratelli?

- La biblioteca della Casa è a disposizione di tutti i membri della comunità, compresi i fratelli. Le sezioni di spiritualità e delle vite dei santi sono le più frequentate.

- Quante ore al giorno il fratello dedica al lavoro?

- Di solito cinque ore, distribuite tra la mattina e il pomeriggio. Tuttavia i fratelli in formazione lavorano un po’ meno per dedicare allo studio più tempo.

- In cosa consiste il lavoro in Certosa?

- Occorre evidenziare prima di tutto che il lavoro dei fratelli è del tutto monastico. Non si tratta d’impiegati con il compito di far “funzionare” il monastero. Dicendo lavoro monastico intendiamo un’azione religiosa che, tramite l’esercizio delle varie virtù, favorisce il progresso spirituale e avvicina a Dio.

- Come possono conservare lo spirito di preghiera e di solitudine durante il lavoro?

- Gli Statuti dell’Ordine consigliano di ricorrere durante il lavoro a brevi slanci diretti a Dio (li chiamiamo “orazioni giaculatorie”). È anche possibile interrompere un poco il lavoro per pregare.

- I certosini lavorano in gruppo?

- Si cerca di organizzare le cose in modo che ciascuno lavori in solitudine nella sua “obbedienza” (così è chiamato il luogo di lavoro assegnato a ciascuno).

- Il silenzio è importante?

- Oh, certamente! È fondamentale lavorare in silenzio. I nostri Statuti precisano: «Il raccoglimento dell’animo durante il lavoro condurrà il fratello alla contemplazione» (2.15.10).

- Una tale concentrazione spirituale nuocerà di certo all’efficacia materiale del lavoro…

- Normalmente no. Nei loro ambienti di lavoro i fratelli godono di libertà e spirito di iniziativa. Si noti che il gusto e l’interesse per il loro lavoro rendono spesso i fratelli certosini eccellenti specialisti.

- Per quanto riguarda la preghiera “ufficiale”, quella liturgica, come si svolge per i fratelli certosini?

- Pregano l’“Ufficio delle Ore” come i padri, ma con qualche riduzione.

- Quest’adattamento è compensato da qualcos’altro?

- Spesso i fratelli preferiscono recitare l’Ufficio divino nella sua forma primitiva: un certo numero di “Padre nostro” e di “Ave Maria” per ogni ora canonica.

- Quando assistono i fratelli alla Messa?

- Possono assistere alla Messa del padre Procuratore il mattino presto, ma anche partecipare alla Messa conventuale con i padri, se lo preferiscono.

- Dato che non fate colazione, cosa fanno i fratelli tra la Messa e l’inizio del lavoro?

- Restano in cella per pregare e fare letture spirituali.

- E finito il lavoro?

- A mezzogiorno, prima del pasto, possono fare un quarto d’ora di adorazione davanti al Santissimo Sacramento.

- E nel pomeriggio?

- Quelli che lo desiderano possono interrompere il lavoro e cantare i Vespri in chiesa con i padri.

- A quale ora termina la giornata di lavoro?

- Verso le diciotto. Prima della cena alcuni vanno a fare un quarto d’ora di adorazione davanti al Santissimo Sacramento.

- E dopo la cena?

- Recitano “Compieta” e vanno a dormire.

- A che ora?

- Verso le venti.

- E sia alzano?

- A mezzanotte per assistere a Mattutino con i padri.

- E dopo tornano a letto?

- Sì, verso le due del mattino, prima dei padri, perché non sono obbligati ad assistere alle Lodi, tranne nei giorni di festa.

- Ritornano a dormire dopo il loro arrivo in cella?

- No, non immediatamente. Arrivati in cella, per lo spazio di circa un quarto d’ora, fanno ciò che da noi si chiama “preghiera materna” (perché la recitano nella loro lingua materna). È una preghiera d’intercessione. Prostrato a terra, il fratello espone lentamente al Signore i bisogni della Chiesa e del mondo. Nessuno sfugge alle intenzioni di questa preghiera: dal Papa fino all’ultimo dei peccatori… proprio nel cuore di quella notte nella quale gli uomini, suoi fratelli, riposano.

 

4. GLI ASPETTI PIÙ CARATTERISTICI DELLA SPIRITUALITÀ CERTOSINA

 

A. Dio solo

- Gli altri Ordini religiosi di vita apostolica si dedicano alla predicazione, all’insegnamento, ai bisogni dei malati ecc. Voi a cosa vi dedicate?

- Nel cuore della Chiesa noi ci poniamo tradizionalmente in quella che si chiama la “vita contemplativa”.

- Bene, ma in che cosa consiste la vita contemplativa per un certosino?

- È un mistero che avvicina al Mistero di Dio. Essa partecipa in un certo modo alla grandezza e all’incomprensibilità di Dio. Al di là delle cose del mondo, anche al di là di ogni ideale umano, al di là della perfezione individuale, il certosino cerca Dio. Vive solamente per Dio. Dedica la sua vita, corpo e anima, alla lode di Dio. Tale è il segreto della vita puramente contemplativa: vivere solamente per Dio, non desiderare altro che Dio, non sapere nient’altro che Dio, non possedere nient’altro che Dio. Chi sente Dio come valore assoluto comprende facilmente questa vita di totale consacrazione. La vita del certosino consiste in questo.

- È un bell’ideale…

- Sì, ma questo bell’ideale richiede un “clima” appropriato per poter espandersi.

- E qual è questo “clima”?

- I nostri usi certosini, le nostre osservanze creano questo “clima” e mostrano così la loro ragion d’essere. Considerate isolatamente, senza relazione al loro fine, le nostre regole sarebbero incomprensibili, e non si potrebbe evitare di dire che si tratta di un insieme di pratiche stravaganti.

- Vediamo più da vicino…

 

B. La solitudine e il silenzio

- Quale è la parola che si ripete più spesso in Certosa?

- Se ci mettessimo a cercare l’espressione che s’incontra più spesso nei nostri Statuti, troveremmo che, senza dubbio, si tratta di «solitudine e silenzio».

- Sarebbe uno slogan che esprime la vostra spiritualità?

- La spiritualità certosina è la spiritualità del deserto.

- Si tratta di una tradizione?

- Sì, se si crede ai nostri Statuti che affermano: «Coloro che furono i padri del nostro Ordine seguivano il lume dell’oriente, ossia di quegli antichi monaci che, ardenti d’amore per il ricordo del Sangue del Signore versato di recente, popolarono i deserti per professarvi la vita solitaria e la povertà di spirito» (1.3.1).

- È una spiritualità a voi specifica, oppure trova altrove i suoi fondamenti?

- La Sacra Scrittura e la tradizione della Chiesa presentano frequentemente la vita solitaria come la vetta di ogni vocazione.

- Voi riconoscete che la solitudine è solo un mezzo; gli dedicate tuttavia un vero culto: perché?

- Perché come affermano giustamente i nostri Statuti citando Guigo, il quarto successore di san Bruno nel deserto di Certosa, la solitudine è il mezzo privilegiato per vivere l’unione con Dio: «Nulla, più della solitudine, può favorire la soavità della salmodia, l’applicazione alla lettura, il fervore della preghiera, le penetranti meditazioni, l’estasi della contemplazione e il dono delle lacrime» (0.2.11).

- Questa importanza che la Certosa accorda alla solitudine ha dunque una ripercussione sulla struttura giuridica dell’Ordine?

- Tutta la legislazione dell’Ordine tende a conservare e a favorire questa solitudine e questo silenzio che sono i tratti più caratteristici della spiritualità del deserto e quindi della spiritualità certosina.

- Potrebbe darmi qualche chiarimento, citando i vostri Statuti, riguardo alla solitudine del monaco certosino?

- Gli Statuti impediscono, per esempio, a un sacerdote certosino di confessare e di fare direzione spirituale agli esterni, cose in sé eccellenti, ma che non sono nella linea della vocazione contemplativa.

- Una tale rigidità non rischia di turbare la Chiesa cattolica contemporanea?

- Per niente. Al contrario è precisamente quello che la Chiesa attende oggi da un monaco certosino. Il Concilio Vaticano II ha espresso chiaramente il dovere dei contemplativi. Essi «si occupano unicamente di Dio nella solitudine e nel silenzio, in continua preghiera e intensa penitenza (…), pur nella urgente necessità di apostolato attivo» (Concilio Vaticano II, Decreto Perfectæ Charitatis, 7). Il silenzio: ecco, forse, la parola che si dimostra più necessaria per il mondo di oggi.

- Voi certosini, difendete la vostra vocazione contemplativa per mezzo della solitudine, ma come evitare l’invasione dei mezzi di comunicazione sociale?

- Per sfuggire a questo pericolo non esistono in Certosa né radio, né televisione, e gli Statuti raccomandano la prudenza nelle letture profane.

- Vi considerate dunque estranei al mondo contemporaneo?

- I nostri Statuti parlano della necessità di «mettersi al riparo dai rumori del mondo» (cf. 1.3.1; 1.6.7; 2.13.4). È qualcosa di fondamentale per la vita solitaria. Ma il padre Priore ha l’incarico di dare ai suoi monaci le notizie del mondo che «non è bene che essi ignorino» (1.6.7; 2.13.4) perché la comunità possa presentare al Signore i bisogni di tutti gli uomini.

- Questa osservanza dura e risoluta non rischia di alterare l’ideale della Certosa?

- Tutta la nostra legislazione sulla solitudine e sul silenzio costituisce la “lettera” dell’osservanza. Il monaco sa che essa individua il clima propizio alla sua vocazione di eremita, ma ha anche imparato bene che questo non è il tutto, né l’essenziale della sua vita.

- Mi riassuma in una parola in cosa consiste l’essenziale per un certosino.

- Vivere intimamente con il Signore. L’amore per la solitudine favorisce questa relazione con il Signore.

- Il certosino fedele a questi principi, è felice?

- Sì, perché il monaco fedele alla sua vocazione comprende che Dio lo chiama davvero a incontrarlo nella solitudine e nel silenzio… sempre più profondi… nello spirito.

 

C. Riposo spirituale

- Solitudine e silenzio sempre più profondi?

- Sì. La solitudine esteriore crea un ambiante propizio, necessario perché si sviluppi una solitudine più perfetta: la solitudine interiore.

- In cosa consiste la solitudine interiore?

- Consiste in un processo spirituale attraverso il quale la memoria, l’intelligenza e la volontà si distaccano poco a poco da ogni interesse e desiderio per le cose materiali. Al loro posto subentra Dio, percepito come l’Essere Unico, il solo che possa saziare le profondità dello spirito. Il certosino diviene un autentico contemplativo solamente quando scopre, nella meraviglia, che Dio solo può colmarlo. Questa scoperta procura una tale sensazione di libertà interiore e di gioia, che è difficile esprimerla in parole.

- Sembra proprio che lei parli della sua esperienza personale.

- Fosse davvero così…

- La Certosa considera questa esperienza contemplativa come tipica e propria?

- Si tratta di un processo spirituale che si trova già nella spiritualità dei monaci del deserto, per esempio in Evagrio e, in generale, presso i mistici cristiani di tutti i tempi.

- Come lo vivete, in pratica, voi certosini?

- Penso che tutto questo processo spirituale potrebbe riassumersi in una sola parola, una parola molto amata da san Bruno e dai primi certosini: “quies”, cioè riposo spirituale.

- Se capisco bene, questo vuol dire che tutto il clima della Certosa tende a…

- Al clima di solitudine e di silenzio che elimina il rumore sconvolgente dei desideri e delle immagini terrene. Si tratta di un’attenzione tranquilla e rilassata dello spirito in Dio che è frutto della preghiera e della lettura fatta con calma. Si sfocia così in questa “quies” o riposo dell’anima in Dio. Riposo nella semplicità, divinizzato e gioioso che, in un certo modo, fa toccare con mano al monaco la bellezza della vita divina.

- A quale grado di contemplazione corrisponde questo stato?

- Direi che la “quies”, il riposo in Dio, è il fine perseguito dal monaco certosino.

 

D. Fedeltà alla croce

- Avete la fama di essere mortificati e penitenti.

- Il tema delle penitenze in Certosa, come tanti altri, è l’occasione di un ribollire di idee strane. Per noi le penitenze sono dei semplici mezzi destinati ad alleggerire la pesantezza del corpo «perché possiamo seguire più prontamente il Signore» come dicono i nostri Statuti (cf. 1.7.3; 2.16.3).

- Lei sa che oggi il dovere della penitenza individuale non è più posto in evidenza… Viviamo in tempi in cui si privilegia la comprensione, il dialogo…

- Sì, la penitenza e, in generale, tutto ciò che implica sacrificio e rinnegamento, non gode di una buona reputazione e se ne parla facilmente senza troppo sapere di cosa si tratta. Tuttavia tutti vedono che uno sportivo si priva di molte cose buone e sottomette il suo corpo a un rude allenamento.

- Voi certosini volete vivere secondo l’«uomo nuovo», come dice la Sacra Scrittura (cf. Ef 2, 15; 4, 24). Mi può precisare quali sono le vostre penitenze più importanti?

- Bene. Prima di tutto… l’allontanamento dal mondo, dalla famiglia, l’assenza di novità e di passatempi. Ecco, forse sono queste le privazioni che costano di più. Quelle che toccano di più la vita dei novizi sono anche il sonno interrotto, la grossolanità dell’abito…

- A livello di alimentazione?

- I certosini prendono a mezzogiorno un pasto completo a base di legumi, di pesce, di uova e un dolce.

- I giorni in cui non si digiuna, in cosa consiste la cena?

- In quei giorni a cena sono servite due uova o l’equivalente in pesce e della frutta.

- I giorni di digiuno?

- I digiuni cominciano il quindici settembre, cioè il giorno dopo la festa dell’Esaltazio­ne della santa Croce, e durano fono a Pasqua, dunque circa sette mesi.

- In cosa consiste il digiuno?

- Il digiuno consiste nel fare un solo pasto completo nelle ventiquattrore, di solito a mezzogiorno. La sera, invece, si prende soltanto del pane e una bevanda.

- I certosini hanno un regime speciale il venerdì?

- Tutte le settimane c’è un giorno detto “di astinenza”. In quel giorno ci accontentiamo di pane e acqua. Questo giorno cade generalmente il venerdì, in ricordo della Passione del Signore, ma se in settimana capita una solennità, l’astinenza ha luogo nella vigilia di questa festa.

- I certosini mangiano la carne?

- Secondo un’antichissima tradizione che risale ai tempi di san Bruno, nelle Case dell’Ordine non si mangia mai carne e non la si prepara mai a nessuno, anche se esterno.

- Gli aspiranti e i novizi sono obbligati a seguire tutte queste pratiche di digiuno?

- L’adattamento al nostro genere di vita richiede tempo e prudenza. E per questo gli aspiranti e i novizi vengono iniziati gradualmente alle nostre tradizioni e consuetudini sotto il controllo attento del maestro dei novizi, che dà consigli appropriati.

- E i malati?

- I nostri Statuti affermano: «Se in un dato caso o con l’andar del tempo uno si accorgesse che qualcuna delle nostre osservanze superi le sue forze, e che il suo spirito ne sia piuttosto ritardato che animato a seguire Cristo, con cuore filiale fissi col priore una mitigazione adeguata alle sue esigenze» (1.7.3; 2.16.3)

- Si può fumare?

- Il tabacco è vietato «per spirito di rinuncia e di povertà» (St. 6.48.12).

- Riassumendo…

- Questi sono gli aspetti più notevoli dell’ascesi certosina. L’Ordine li giudica sufficienti e, molto prudentemente, stabilisce in modo categorico che «nessuno di noi all’insaputa e senza il consenso del priore pratichi altri esercizi di penitenza, oltre a quelli indicati nei presenti Statuti» (St. 1.7.8; 2.16.8) . La Certosa ha ereditato la sua moderazione e il suo equilibrio da san Bruno stesso. Nella «Lettera all’amico Rodolfo», il Santo descrive con entusiasmo la bellezza dei paesaggi della Calabria e, per premunirsi di fronte sorpresa che il suo amico potrebbe provare davanti a quelle descrizioni straripanti, e che potrebbero sembrare poco spirituali, spiega: «Eppure, quando il rigore della disciplina regolare e gli esercizi spirituali finiscono per affaticare la mente indebolita, è in tali piaceri che quest’ultima trova pace e sollievo. L’arco, infatti, se la corda rimane troppo a lungo tesa, perde vigore e non è più in grado di servire» (5).

- E per terminare questo tema: quali sono i principali tratti dello spirito certosino?

- La solitudine e il silenzio, la “quies” (il riposo contemplativo), la semplicità della vita, l’austerità, questi sono le caratteristiche fondamentali dello spirito certosino. Esse sono anche le linee maestre della spiritualità del deserto.

 

5. LE PARTICOLARITÀ DELLA CERTOSA

A. Il certosino, un eremita integrato in una famiglia monastica

- Tutto ciò che abbiamo detto finora lascia pensare che la peculiarità principale della vita del certosino è di vivere nella solitudine e nel silenzio. Ho letto da qualche parte che tra tutti gli Ordini monastici, almeno in Occidente, voi siete coloro che vivono più puramente la vita eremitica.

- È probabile. Ripeto che il certosino è anzitutto un eremita che trascorre quasi tutta la sua vita nella cella, suo eremo. È l’impronta più chiara della nostra identità, e il nostro carisma specifico.

- Ma allora il vostro carisma di solitari non mette in ombra alcuni aspetti così importanti e così evangelici come l’amore al prossimo e il servizio che gli è dovuto? Credo che sia sant’Agostino che dice all’incirca: «Come potrei lavare i piedi dei miei fratelli se vivo fermo nel mio eremo?».

- La frase è di san Basilio, il padre del monachesimo orientale. Non bisogna dimenticare che nella Chiesa, come diceva san Paolo, tutte le membra non hanno la medesima funzione (cf. 1Cor 12, 12-31). La vita dei certosini è consacrata alla lode di Dio e alla preghiera di intercessione in favore di tutti gli uomini (cf. St. 4.34.5; 3.21.13).

- Quindi?

- Benché il nostro carisma specifico non sia quello di curare i malati, né di predicare, né di insegnare, la Certosa non è un’istituzione puramente eremitica; la vita solitaria è equilibrata da un altro aspetto assai importante: la vita fraterna. Anch’essa è parte essenziale del nostro carisma.

- Ah sì?

- Indubbiamente, e ciò fin dagli inizi dell’Ordine. Nonostante la forte attrazione del nostro padre san Bruno verso il deserto, egli non fu un solitario di stile tradizionale, come gli eremiti Paolo, Antonio e Benedetto. Essi, infatti, inaugurarono la loro vita monastica nel deserto completamente soli. E san Bruno? Non è mai solo: un gruppo di amici che condividono il suo ideale lo accompagna sempre.

- Questo è un dettaglio interessante…

- Per noi è importante vivere da eremiti nelle nostre celle ma, nel medesimo tempo, formiamo nel monastero una famiglia unita. Nei secoli passati si utilizzava il termine “famiglia” per designare le comunità certosine. Anche ai nostri giorni gli Statuti fanno lo stesso.

- E, in concreto, com’è vissuto questo aspetto “familiare”?

- Un esempio: noi stessi curiamo i nostri malati o i nostri anziani, aiutandoli meglio che possiamo, accompagnandoli per tutto il tempo necessario, anche se tutto ciò implica alcune uscite di cella. Lo facciamo volentieri, con amore, persuasi che la carità fraterna supera ogni altro ragionamento di valore spirituale.

- Comincio a capire… e intuisco che le vostre ricreazioni e i passeggi comunitari hanno qualcosa a che vedere con questo aspetto di vita in famiglia.

- Ha colto nel segno! La ricreazione della domenica e il passeggio settimanale permettono alla Certosa di essere un ambiente familiare, evangelico, e ci aiutano a conservare un sano equilibrio.

B. La cella

- Lei, riferendosi all’abitazione del certosino, ha sempre parlato della “cella”. Come sono disposti gli ambienti della cella?

- Tra tutti gli edifici del monastero, le celle del grande chiostro sono le più caratteristiche. Le celle di tutti i certosini sono composte dagli stessi locali, anche se la loro disposizione può variare.

- Potrebbe offrirmi una breve descrizione delle celle?

- Le celle si trovano nel grande chiostro, che è un lungo corridoio generalmente in forma di quadrilatero. Attenzione alla parola “cella”, che i certosini hanno sempre applicato, fin dalle origini, ai loro eremi. Essa induce inevitabilmente in errore, poiché evoca l’idea di un’unica stanza. In realtà, la cella di un certosino è una “piccola casa”, generalmente di due piani. Essa deve poter accogliere: una stanza per lo studio, un oratorio per la preghiera, un piccolo laboratorio di falegnameria e avere un giardino. La sua relativa grandezza si spiega per il carattere esplicitamente eremitico del nostro Ordine: il certosino passa la maggior parte della sua vita in cella. Gli Statuti dicono felicemente che la cella è per il certosino ciò che l’acqua è per il pesce e l’ovile per le pecore (cf. 1.4.2).

Una lettera dell’alfabeto, pirografata su una tavola di legno posta sopra la porta di ogni cella, consente di distinguerle le une dalle altre. Si entra in cella da un’anticamera piuttosto grande, dove dominano un crocifisso e un’immagine della Santa Vergine. Ai piedi di quest’ultima il certosino, in ginocchio, prega un’Ave Maria ogni volta che entra in cella. Per questa ragione chiamiamo questa stanza “Ave Maria”.

Vicino alla porta d’ingresso c’è uno sportello: è qui che il “fratello dispensiere” deposita i piatti che il monaco troverà al momento di consumare i suoi pasti. Il certosino mangia abitualmente in cella; solo la domenica e i giorni di solennità si reca in refettorio per pranzare con i suoi fratelli.

Il laboratorio è una stanza molto luminosa dove si può lavorare il legno. È generalmente dotato di un tornio a pedale e di un banco da lavoro fornito degli utensili più comuni.

Ogni certosino ha a sua disposizione un giardino da coltivare secondo i propri desideri. La cura del giardino offre al monaco un buon esercizio fisico, una piacevole distrazione e una distensione spirituale.

La stanza principale è di comode dimensioni. Le sue finestre guardano sul giardino. L’arredamento consiste in un tavolo, una o due sedie, uno scaffale per i libri. In un angolo si trova l’oratorio, il luogo sacro della cella. Contro una parete c’è il letto, molto semplice e, più lontano, una porta si apre sul piccolo bagno.

Questa è la cella del certosino: egli vi trascorre i suoi giorni e i suoi anni, in silenzio, solo a solo con Dio.

- La cella è il cielo o il purgatorio?

- Amo pensare che la grandezza di questa vocazione è di aver ricevuto un dono prezioso: vivere in solitudine per Dio. Di fatto i monaci di tutte le epoche hanno sperimentato, e cantato, le bellezze della vita di cella, dove si trascorrono i giorni vissuti nell’intimità col Signore. I nostri Statuti si rifanno a questa importante tradizione monastica che considera la cella come l’“anticamera del cielo”: essa è «la terra santa e il luogo dove il Signore e il suo servo conversano spesso insieme, come un amico col suo amico. In essa frequentemente l’anima fedele viene unita al Verbo di Dio, la sposa è congiunta allo Sposo, le cose celesti si associano alle terrene, le divine alle umane» (1.4.1).

- Ho capito. Ma dal momento che l’atmosfera della nostra società è colma di rumore, di immagini, di distrazioni, non è difficile per i giovani adattarsi a una vita di silenzio e di solitudine così stretta come la vostra?

- Normalmente la cella esige per il novizio un processo più o meno lungo e faticoso di adattamento – direi di disintossicazione – per far diventare il silenzio parte integrante della sua interiorità, calmare lo sciabordio delle immagini, vincere gli attaccamenti, le emozioni, fino a far entrare il suo spirito nel riposo, nella quiete, e fissarsi su ciò che è veramente solido, cioè sui valori trascendenti che, in definitiva, sono i soli a poter appagare i desideri profondi dell’anima.

- Quali sono i consigli siete soliti dare ad un giovane che arriva dal mondo e che inizia a vivere la sua nuova vita di eremita in cella così diversa da quella che ha vissuto fin a quel momento?

- Il padre maestro lo obbligherà a degli orari precisi. È una forma di prudenza. Il giovane in cella deve occupare il tempo in modo ordinato e fruttuoso leggendo, scrivendo, salmodiando, pregando, meditando, contemplando e lavorando (cf. St. 1.4.2). Imparerà anche a lottare contro le varie tentazioni, prima di tutto contro lo scoraggiamento, ad abituarsi poco a poco all’ascolto tranquillo del cuore, e a lasciare che Dio entri nel suo intimo (cf. St. 1.4.2). Il maestro gli consiglierà soprattutto di fidarsi del Signore che gli ha donato questa meravigliosa vocazione e gli concederà tutte le grazie necessarie per portarla a buon fine (cf. St. 1.8.16; 2.17.15).

C. Gli orari in Certosa

L’Ufficio della notte: Mattutino e Lodi

- Ho l’impressione che gli orari in Certosa siano un po’ strani, no?

- Un poco originali, sì!

- A che ora ci si corica?

- Alle 19.00 o alle 20.00. In estate il sole è ancora sopra l’orizzonte.

- Coricati alle 19.00 o alle 20.00!... E a che ora ci si alza?

- Alle 23.30. A quest’ora la campana della chiesa chiama i monaci alla preghiera.

- In modo che la giornata del certosino comincia alle undici e mezza di sera?

- Sì.

- E cosa fanno i monaci a quell’ora?

- Vanno al loro oratorio della cella, si inginocchiano e iniziano la loro missione di lode celebrando il Mattutino della Santa Vergine.

- La giornata comincia bene!

- A mezzanotte e un quarto la campana suona di nuovo.

- Perché?

- Questa notte avrà la possibilità di vederlo. Tutta la comunità si dirige verso la chiesa attraverso i chiostri solitari, poco illuminati.

- E una volta giunti alla chiesa…

- Si dispongono i libri liturgici sui leggii, si spengono le luci e si entra in un profondo silenzio. Al segnale del Priore s’inizia il canto di Mattutino.

- Cos’è il “Mattutino”?

- “Mattutino” è il nome dell’Ufficio della notte. Si compone di due parti chiamate “Notturni”: ciascuna comprende sei salmi. Nei giorni di festa si aggiunge un terzo “Notturno” che prevede tre Cantici scritturistici. La salmodia è grave, assai lenta. Alla fine di ogni Notturno si leggono dei brani della Bibbia o dei Padri della Chiesa; dopo ciascuna lettura si canta un “responsorio”. Nelle domeniche e nelle feste più importanti ci sono dodici letture seguite da dodici responsori. Nei giorni ordinari, chiamati “ferie”, in estate, c’è una sola lettura, o tre nel periodo invernale. Quando ci sono dodici letture, alla fine del Mattutino, si canta l’inno Te Deum e il brano del Vangelo del giorno. Gli altri Uffici si concludono con alcune belle preghiere di intercessione in favore della Chiesa e del mondo. Al “Mattutino” seguono, poi, le “Lodi”: un inno, cinque salmi con le relative antifone, un breve lettura col suo responsorio, il Benedictus seguito dalle intercessioni, dal Padre Nostro e da un’orazione conclusiva.

- E una volta terminate le “Lodi”?

- I monaci rientrano in cella e pregano le Lodi della Santa Vergine.

- Che ora può essere?

- Dipende dalla durata degli Uffici, spesso sono le tre del mattino. Poi si torna a dormire.

- E perché tutto questo?

- Perché il certosino ama in modo particolare queste ore notturne di lode, quando il silenzio della notte invita a una preghiera più fervente.

Il mattino

- Bene, bene… E a che ora si alzano di nuovo?

- Alle 7.00 pregano l’Ora Prima, seguita da un tempo di preghiera.

- E la Messa?

- Alle 8.00 ci raduniamo in chiesa per la Messa conventuale che è sempre cantata. Nelle domeniche e nelle solennità la Messa è preceduta dal canto dell’Ora Terza. La Messa di questi giorni festivi è abitualmente concelebrata.

- E dopo la Messa?

- I fratelli hanno un quarto d’ora di ringraziamento in cella, quindi si dispongono al lavoro fino all’Ora Sesta. I padri, invece, celebrano generalmente a questo punto la Messa chiamata “letta”, cioè non cantata, in una delle cappelle adibite a questo scopo. Al ritorno in cella pregano l’Ora Terza e fanno una lettura spirituale per un tempo abbastanza prolungato.

- Già… voi non fate colazione. E che fate fino all’ora di pranzo?

- Gli studenti si dedicano ai loro studi in cella e poi fanno un po’ di lavoro manuale: falegnameria, rilegatura, pittura, giardinaggio…

- Quando pranzate?

- Alle undici e mezza o alle dodici, dopo aver pregato l’Ora Sesta e l’Angelus di mezzogiorno. Si pranza in cella da soli, tranne le domeniche e le solennità, come ho già ricordato.

- E dopo il pasto fate un riposo?

- Dopo il pranzo, il certosino fino alle ore 13.00 ha un po’ di tempo libero che può usare sia per andare in giardino a fare qualche lavoro leggero o semplicemente a passeggiare, sia per riordinare la cella e fare un po’ di pulizia. Alle 13.00 il monaco prega l’Ora Nona.

- E poi?

- Fino a Vespro il tempo è dedicato al lavoro manuale, alla lettura o allo studio. I fratelli ritornano al loro lavoro nelle diverse “obbedienze” o laboratori del monastero: la cucina, la sartoria, la dispensa, l’orto, la falegnameria, l’officina del fabbro, ecc…

- Questi orari non variano mai?

- Ogni domenica e solennità l’Ora Nona si canta in chiesa, quindi si va in Capitolo per ascoltare una breve lettura tratta dal Vangelo o dagli Statuti. Dopo questo momento i monaci s’incontrano per la “ricreazione”, un tempo di gioia e di serenità molto fraterno. Si va all’aperto, se il tempo è bello, o si sta nel chiostro, se il tempo non ci permette di uscire.

La sera

- Come si trascorre la fine della giornata?

- Tutti i giorni alle 16.00 si cantano i Vespri in chiesa. L’Ufficio del Vespro dura circa mezz’ora. Sono strutturati così: un inno, quattro salmi con le loro antifone, una lettura, un responsorio e il cantico del Magnificat. Termina con delle belle preghiere d’intercessione, con il Padre Nostro e l’orazione, seguiti dall’antifona Salve, Regina. Il testo e la melodia di quest’ultimo canto sono leggermente diversi da quelli del rito romano. Dopo il vespro, il tempo è riservato ad attività spirituali: preghiera, meditazione, letture...

- A che ora si cena?

- La cena, o una piccola refezione nei giorni di digiuno, si prende in genere alle ore 18.00.

- Che cosa fanno i monaci dopo cena?

- Dopo cena resta un poco di tempo libero e di distensione: si può stare un po’ in giardino oppure in cella. Verso le 18.30 i fratelli cessano il loro lavoro e rientrano in cella.

- Come si conclude la giornata del certosino?

- Verso le 19.00 la campana suona l’Angelus della sera. I monaci possono ancora prolungare la loro preghiera o la loro lettura spirituale per un’altra ora, ma con prudenza, perché è consigliabile non ritardare troppo il sonno. La giornata termina con l’Ufficio di Compieta, preghiera nella quale si ringrazia Dio per tutte le grazie ricevute durante la giornata, e gli si domanda la protezione per la notte che arriva. Così finisce, tra le 19.30 e le 20.00, la giornata del certosino.

Orari in funzione della vita liturgica

- Suppongo che i vostri orari siano stabiliti in funzione della vostra vita liturgica, giusto?

- Effettivamente il Mattutino nel cuore della notte, la Messa conventuale nella prima mattinata e i Vespri della sera ritmano la giornata del certosino. Questi Uffici sono i tempi forti in cui i monaci abbandonano le loro celle per andare in chiesa.

- Che posto occupa la liturgia nella vita del certosino?

- Poiché la nostra vocazione è di essere con il Cristo e nel Cristo una lode a Dio Padre attraverso il nostro ministero di lode e d’intercessione, la nostra Eucaristia quotidiana, celebrata e cantata sulle melodie gregoriane tutte le mattine in comunità, è davvero, secondo quanto dicono i nostri Statuti, «il centro e il culmine di tutta la nostra vita» (cf. St. 6.41.1; Concilio Vaticano II, Costituzione Sacrosanctum Concilium, 10)

- E l’Ufficio divino?

- Sebbene il certosino preghi buona parte dell’Ufficio divino nella sua cella, egli sa che le sua voce non è una voce individuale, solitaria, dispersa nell’immensità del mondo, ma è la preghiera stessa di Cristo e di tutta la Chiesa. Sì, nella liturgia il Cristo, che è il nostro Capo, prega in noi, in modo che in lui noi possiamo riconoscere le nostre voci, e in noi la sua (cf. St. 1.3.7; 2.11.8).

D. Le origini dell’Ordine dei Certosini

- Per terminare, se posso, le pongo una domanda elementare: cos’è la Certosa?

- È un Ordine monastico nato alla fine del secolo XI, un cammino evangelico che ha già percorso una strada di oltre nove secoli.

- Chi è il suo fondatore?

- Più che “fondatore” di questo genere di vita parlerei d’“iniziatore”… Fu san Bruno, nato a Colonia, in Germania, verso l’anno 1030. Fu studente e poi canonico e rettore della famosa Scuola della Cattedrale di Reims. Si ritirò, poi, con sei compagni in un angolo solitario e nascosto delle Alpi del Delfinato, il massiccio della Certosa, a una trentina di chilometri da Grenoble. La Casa Generalizia dell’Ordine si trova tuttora in quel luogo.

- Perché ha detto che san Bruno non fu il fondatore dell’Ordine, ma il suo iniziatore?

- Perché san Bruno, in effetti, non ha scritto alcuna regola monastica. Inoltre, non restò a lungo presso l’eremo di Certosa. Chiamato dal papa Urbano II, che aveva avuto suo alunno a Reims, dovette recarsi a Roma e accompagnare il Papa nei suoi spostamenti nell’Italia meridionale. Urbano II comprese il carisma di san Bruno che ormai era profondamente attirato dalla vita eremitica, e gli permise di ritirarsi nuovamente in un luogo solitario della Calabria, a Santa Maria della Torre. Là fondò con altri compagni un eremo simile a quello di Certosa. Morì nel 1101. Là riposano i suoi resti mortali. Ma fu la prima fondazione di Certosa che mantenne il suo spirito e che, dopo qualche anno, fu all’origine dell’Ordine monastico dei certosini.


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